Nicholas Roerich [Public domain or Public domain], via Wikimedia commons È strano osservare come il tempo edulcora e addolcisce le cose più turpi, abominevoli e raccapriccianti. E questo avviene praticamente per tutte le situazioni, specialmente quando sono avvolte da un alone di sconosciuto e mistero. Un esempio lo possono essere i vichinghi. Erano dei guerrieri feroci e spietati (come più o meno lo erano tutti a quell’epoca), ma il tempo idealizzò il coraggio e l’orgoglio di questa popolazione. La gente che veniva assaltata veniva presa da terrore; “spesso trucidavano la popolazione locale, depredando tutti i beni e il bestiame, schiavizzavano i bambini e le donne, a volte commettevano infanticidio, secondo le loro usanze belliche” (wikipedia). Tra le cose più esecrabili è da ricordare la pratica “dell’aquila di sangue”, un’orribile rito estremamente crudele in venerazione di una loro dea, in cui si tagliavano le costole all’altezza della schiena e se ne facevano uscire i polmoni (LINK). Ma chi non ricorda le saghe, i numerosi film, e i cartoni animati su questi personaggi in cui si esaltano i valori del coraggio, dell’impegno e dell’onestà. Il film bellissimo “Dragon trainer” presenta ad esempio (ma pure come tanti altri) una situazione di questo genere. Così abbiamo pirati che diventano gentiluomini, o il voivoda crudelissimo Vlad III Dracul che viene fatto oggetto di un romanzo da parte di Bram Stoker da cui poi si sviluppa tutta una filmografia dove in alcuni casi il vampiro presenta aspetti e atteggiamenti positivi. Di esempi del genere ne possiamo menzionare a volontà. Anche per quanto riguarda la prima guerra mondiale in alcuni casi l’enorme sfacelo crudeltà e morte vengono verniciati con i caratteri dell’eroe, del coraggio, della fratellanza, dell’onore e della solidarietà. Pensate ai canti degli alpini, bellissimi, struggenti, chi non li ha mai sentiti? Ci narrano della guerra , del sentimento per la patria e dell’enorme generosità e amore di questi uomini, giusto! Le cose però non sono andate così e ce lo racconta il libro: Alessandra Colla, Grigioverde rosso sangue. Combattere e morire nella Grande Guerra del 15-18, GoWare 2014. In questo articolo citerò alcune parti che mi hanno particolarmente colpito. I PRIMI GIORNI DEL CONFLITTO Gli italiani nei primi giorni del conflitto erano in netta superiorità numerica pari a 4 a 1 e in più avevano truppe fresche ed entusiaste, mentre gli austriaci sentivano sulle spalle già dieci mesi di guerra; essi non seppero sfruttare questa loro situazione di superiorità. Essi poi potevano in quei giorni, con effetto sorpresa, scendere dal passo Montecroce e raggiungere celermente e agilmente la linea ferroviaria della val Pusteria posta a circa 12 Km dal passo ma non lo fecero. Nei primi giorni di guerra i soldati erano sprovvisti delle pinze trancia filo spinato, successivamente arrivarono e ce ne erano 2 per squadra, ma troppo deboli per riuscire a tagliare agevolmente il reticolato nemico. I nostri tentavano invano di aprirsi un varco con le mani, con le vanghette, con il calcio dei fucili o addirittura con i sassi. L’incitazione a “rompere i reticolati coi denti”, emblema del senso eroico del momento, trovò in alcuni casi attuazione. Sempre nei primi giorni di guerra i nostri militari non avevano in dotazione gli elmetti se non in un numero di 6 ogni 250 uomini (Melograni 1988). La guerra era già scoppiata nel 1914 e non doveva essere una novità il cambiamento di combattimento bellico dettato dalle nuove armi in uso, rispetto alle guerre del secolo precedente, ma gli italiani si presentarono, perlomeno agli occhi nostri, assurdamente sguarniti e impreparati. Il MONTE NERO Un episodio esemplificativo di quanto erano sprovveduti ma anche arroganti i comandi militari riguarda la presa del Monte Nero, il Mrzli. Il 24 maggio il generale Eugenio De Rossi raggiunge il paesino di Luico, in prossimità del confine e si concede l’iniziativa di occupare la posizione strategica del Monte Nero, visto il mancato presidio da parte del nemico, ma gli alti comandi inaspettatamente gli danno l’ordine del ritiro. Il De Rossi scende e dopo 2 giorni arriva il contrordine di occupare di nuovo il monte che nel frattempo era caduto in mani ostili e che resterà tale per tutta la guerra. LA TRINCEA RUSSIAN TROOPS AWAITING A GERMAN ATTACK. This is a typical rear-guard trench, characteristic of the field fortifications of the great retreat. La trincea era rinforzata con tavole di legno o graticci, il pavimento in certi casi era isolato con altre assi in maniera da consentire il deflusso dell’acqua e dei liquami; all’incirca ogni soldato aveva a disposizione circa un metro quadrato. La trincea era la casa del militare il suo letto, la sua mensa, il cesso e la tomba. La manutenzione però non era facile, e con il tempo diventava alle volte impossibile. Il legno marciva, c’era umidità, il terreno era fangoso, e i soldati dovevano rimanere molto tempo fermi per ore o giorni. I militari si lordavano di fango misto a sudore ed escrementi; nonostante fossero in montagna di acqua ne avevano poca (pensate ad esempio all’altopiano di Asiago il quale ha caratteristiche carsiche e dove l’acqua non si trova facilmente). La difficoltà di bere e lavarsi, l’enorme stress psicofisico, la malnutrizione, la carenza di sonno e le precarie situazioni igieniche, favorivano il dilagare di molte malattie e la diffusione di topi e pidocchi. In questi buchi infernali, quando si scatenava il maltempo, gli escrementi si mescolavano con i liquidi dei cadaveri e con il materiale di scarto dell’esercito, i topi che si nutrivano di carne umana putrefatta nuotavano nella melma e il soldato non poteva uscire dalla trincea pena il rischio di rimanere ucciso dall’esercito nemico. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY |
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Febbraio 2022
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