Le difficoltà di un insegnante e le possibili soluzioni
Chi si trova ad insegnare si trova tra incudine e martello. Da
una parte sente che è necessario trasmettere dei contenuti come è capitato a
lui quando era piccino e dall’altra sente tutta la resistenza dello studente a
impegnarsi nella scuola.
Per molti studenti la scuola è un peso non indifferente. Certi arrivano a fine anno che non ne possono più.
Stanno facendo qualcosa che va contro il loro modo spontaneo di sentire. Se il lettore ha letto qualcosa sull’ intelligenza emotiva sa che cosa sto dicendo.
In breve: lo studente sta facendo qualcosa che va contro il suo inconscio. Anche se razionalmente sa che la scuola è importante emotivamente è distante se non in contrasto. Questo conflitto è all’origine della sua resistenza agli inviti dell’insegnante e della sua sofferenza. Da quella che è la mia esperienza vedo che a volte è una sofferenza notevole, forte e persistente. Comporta pianti di genitori, sotterfugi di ogni sorta e delusione, tanta delusione. Segni che permangono per tanto tempo nella vita di una persona. Un fallimento cocente. Peccato un vero peccato. I migliori anni della scoperta del mondo che diventano un fallimento, assurdo. Eppure è così. Ma io vi dico che si può fare diversamente.
Come dicevo sopra l’insegnante si trova tra incudine e martello e questo non va bene. Si deve cercare una soluzione. Anche perché il docente è uno, pensiamo numericamente, e gli studenti sono mediamente da venti in su in una classe. Possiamo ricorrere a metodi autoritari (che rasentano il terrore) e in parte sembrano avere una loro efficacia. Io sono però fermamente contrario perché penso che le azioni che si compiono devono essere inspirate dalla convinzione e non dalla paura del castigo. Possiamo tentare la fortuna o altro. Io ho esperimentato che usare delle modalità didattiche inspirate al learnin by doing sia una soluzione buona.
C’è una storia a supporto di quella che è la mia idea di scuola e l’ho scoperta di recente venendo a sapere della storia di Alfred Reynolds. Costui Era nella British Army durante la seconda guerra mondiale e fu incaricato di condurre un programma di denazificazione per gli ufficiali nazisti che avevano combattuto nella seconda guerra mondiale. Il suo programma consisteva nel far fare piccole affermazioni su ciò che non condividevano del nazismo e così gradatamente cambiarono il loro modo di pensare. Non si è sognato di fare lavaggi del cervello o condurre programmi “all’arancia meccanica”. Ha fatto diventare loro protagonisti, gli ha messi nella condizione di ragionare con la loro testa. Gli ha fatti confrontare tra di loro. Ciò che gli si presentava non era un lavoro molto facile anche perché studi di psicologia sociale hanno dimostrato che l’individuo nell’errore tende a giustificarsi perché sarebbe troppo doloroso ammettere le malefatte e in particolare i crimini. Eppure il suo modo si è dimostrato buono. La strada che ci viene richiesta è difficile perché ci chiede di fidarsi dei nostri studenti e di lasciarli liberi di esperimentare. Dobbiamo necessariamente dare tempo al tempo. Abbiamo studenti che corrono veloci ma altri che sono lenti. Se siamo rispettosi anche loro faranno la loro strada.
All’inizio del mio lavoro mi impegnavo con molte energie per stimolare, sollecitare spingere all’ascolto e all’impegno lo studente. Io li ringrazio perché mi volevano bene e nonostante la mia pedanteria mi sopportavano. Successivamente ho riflettuto sull’insegnamento e sulle modalità usate. Ho capito che bisogna cambiare il punto di vista di 360°. Non si fa scuola per il programma ma per lo studente. È lui che deve essere al centro, tutto il resto viene in secondo piano. Se “serviamo bene i nostri clienti” tutto il resto verrà da se. Questa è la mia scoperta principale. Il fatto di centrare la mia azione sul cliente ( gli studenti) mi ha cambiato tanto.
Penso che il successo delle attività proposte in questo sito sia in parte derivante da questo motivo, esse rendono protagonista lo studente e li consentono di esprimere se stesso.
Per molti studenti la scuola è un peso non indifferente. Certi arrivano a fine anno che non ne possono più.
Stanno facendo qualcosa che va contro il loro modo spontaneo di sentire. Se il lettore ha letto qualcosa sull’ intelligenza emotiva sa che cosa sto dicendo.
In breve: lo studente sta facendo qualcosa che va contro il suo inconscio. Anche se razionalmente sa che la scuola è importante emotivamente è distante se non in contrasto. Questo conflitto è all’origine della sua resistenza agli inviti dell’insegnante e della sua sofferenza. Da quella che è la mia esperienza vedo che a volte è una sofferenza notevole, forte e persistente. Comporta pianti di genitori, sotterfugi di ogni sorta e delusione, tanta delusione. Segni che permangono per tanto tempo nella vita di una persona. Un fallimento cocente. Peccato un vero peccato. I migliori anni della scoperta del mondo che diventano un fallimento, assurdo. Eppure è così. Ma io vi dico che si può fare diversamente.
Come dicevo sopra l’insegnante si trova tra incudine e martello e questo non va bene. Si deve cercare una soluzione. Anche perché il docente è uno, pensiamo numericamente, e gli studenti sono mediamente da venti in su in una classe. Possiamo ricorrere a metodi autoritari (che rasentano il terrore) e in parte sembrano avere una loro efficacia. Io sono però fermamente contrario perché penso che le azioni che si compiono devono essere inspirate dalla convinzione e non dalla paura del castigo. Possiamo tentare la fortuna o altro. Io ho esperimentato che usare delle modalità didattiche inspirate al learnin by doing sia una soluzione buona.
C’è una storia a supporto di quella che è la mia idea di scuola e l’ho scoperta di recente venendo a sapere della storia di Alfred Reynolds. Costui Era nella British Army durante la seconda guerra mondiale e fu incaricato di condurre un programma di denazificazione per gli ufficiali nazisti che avevano combattuto nella seconda guerra mondiale. Il suo programma consisteva nel far fare piccole affermazioni su ciò che non condividevano del nazismo e così gradatamente cambiarono il loro modo di pensare. Non si è sognato di fare lavaggi del cervello o condurre programmi “all’arancia meccanica”. Ha fatto diventare loro protagonisti, gli ha messi nella condizione di ragionare con la loro testa. Gli ha fatti confrontare tra di loro. Ciò che gli si presentava non era un lavoro molto facile anche perché studi di psicologia sociale hanno dimostrato che l’individuo nell’errore tende a giustificarsi perché sarebbe troppo doloroso ammettere le malefatte e in particolare i crimini. Eppure il suo modo si è dimostrato buono. La strada che ci viene richiesta è difficile perché ci chiede di fidarsi dei nostri studenti e di lasciarli liberi di esperimentare. Dobbiamo necessariamente dare tempo al tempo. Abbiamo studenti che corrono veloci ma altri che sono lenti. Se siamo rispettosi anche loro faranno la loro strada.
All’inizio del mio lavoro mi impegnavo con molte energie per stimolare, sollecitare spingere all’ascolto e all’impegno lo studente. Io li ringrazio perché mi volevano bene e nonostante la mia pedanteria mi sopportavano. Successivamente ho riflettuto sull’insegnamento e sulle modalità usate. Ho capito che bisogna cambiare il punto di vista di 360°. Non si fa scuola per il programma ma per lo studente. È lui che deve essere al centro, tutto il resto viene in secondo piano. Se “serviamo bene i nostri clienti” tutto il resto verrà da se. Questa è la mia scoperta principale. Il fatto di centrare la mia azione sul cliente ( gli studenti) mi ha cambiato tanto.
Penso che il successo delle attività proposte in questo sito sia in parte derivante da questo motivo, esse rendono protagonista lo studente e li consentono di esprimere se stesso.