Nicholas Roerich [Public domain or Public domain], via Wikimedia commons È strano osservare come il tempo edulcora e addolcisce le cose più turpi, abominevoli e raccapriccianti. E questo avviene praticamente per tutte le situazioni, specialmente quando sono avvolte da un alone di sconosciuto e mistero. Un esempio lo possono essere i vichinghi. Erano dei guerrieri feroci e spietati (come più o meno lo erano tutti a quell’epoca), ma il tempo idealizzò il coraggio e l’orgoglio di questa popolazione. La gente che veniva assaltata veniva presa da terrore; “spesso trucidavano la popolazione locale, depredando tutti i beni e il bestiame, schiavizzavano i bambini e le donne, a volte commettevano infanticidio, secondo le loro usanze belliche” (wikipedia). Tra le cose più esecrabili è da ricordare la pratica “dell’aquila di sangue”, un’orribile rito estremamente crudele in venerazione di una loro dea, in cui si tagliavano le costole all’altezza della schiena e se ne facevano uscire i polmoni (LINK). Ma chi non ricorda le saghe, i numerosi film, e i cartoni animati su questi personaggi in cui si esaltano i valori del coraggio, dell’impegno e dell’onestà. Il film bellissimo “Dragon trainer” presenta ad esempio (ma pure come tanti altri) una situazione di questo genere. Così abbiamo pirati che diventano gentiluomini, o il voivoda crudelissimo Vlad III Dracul che viene fatto oggetto di un romanzo da parte di Bram Stoker da cui poi si sviluppa tutta una filmografia dove in alcuni casi il vampiro presenta aspetti e atteggiamenti positivi. Di esempi del genere ne possiamo menzionare a volontà. Anche per quanto riguarda la prima guerra mondiale in alcuni casi l’enorme sfacelo crudeltà e morte vengono verniciati con i caratteri dell’eroe, del coraggio, della fratellanza, dell’onore e della solidarietà. Pensate ai canti degli alpini, bellissimi, struggenti, chi non li ha mai sentiti? Ci narrano della guerra , del sentimento per la patria e dell’enorme generosità e amore di questi uomini, giusto! Le cose però non sono andate così e ce lo racconta il libro: Alessandra Colla, Grigioverde rosso sangue. Combattere e morire nella Grande Guerra del 15-18, GoWare 2014. In questo articolo citerò alcune parti che mi hanno particolarmente colpito. I PRIMI GIORNI DEL CONFLITTO Gli italiani nei primi giorni del conflitto erano in netta superiorità numerica pari a 4 a 1 e in più avevano truppe fresche ed entusiaste, mentre gli austriaci sentivano sulle spalle già dieci mesi di guerra; essi non seppero sfruttare questa loro situazione di superiorità. Essi poi potevano in quei giorni, con effetto sorpresa, scendere dal passo Montecroce e raggiungere celermente e agilmente la linea ferroviaria della val Pusteria posta a circa 12 Km dal passo ma non lo fecero. Nei primi giorni di guerra i soldati erano sprovvisti delle pinze trancia filo spinato, successivamente arrivarono e ce ne erano 2 per squadra, ma troppo deboli per riuscire a tagliare agevolmente il reticolato nemico. I nostri tentavano invano di aprirsi un varco con le mani, con le vanghette, con il calcio dei fucili o addirittura con i sassi. L’incitazione a “rompere i reticolati coi denti”, emblema del senso eroico del momento, trovò in alcuni casi attuazione. Sempre nei primi giorni di guerra i nostri militari non avevano in dotazione gli elmetti se non in un numero di 6 ogni 250 uomini (Melograni 1988). La guerra era già scoppiata nel 1914 e non doveva essere una novità il cambiamento di combattimento bellico dettato dalle nuove armi in uso, rispetto alle guerre del secolo precedente, ma gli italiani si presentarono, perlomeno agli occhi nostri, assurdamente sguarniti e impreparati. Il MONTE NERO Un episodio esemplificativo di quanto erano sprovveduti ma anche arroganti i comandi militari riguarda la presa del Monte Nero, il Mrzli. Il 24 maggio il generale Eugenio De Rossi raggiunge il paesino di Luico, in prossimità del confine e si concede l’iniziativa di occupare la posizione strategica del Monte Nero, visto il mancato presidio da parte del nemico, ma gli alti comandi inaspettatamente gli danno l’ordine del ritiro. Il De Rossi scende e dopo 2 giorni arriva il contrordine di occupare di nuovo il monte che nel frattempo era caduto in mani ostili e che resterà tale per tutta la guerra. LA TRINCEA RUSSIAN TROOPS AWAITING A GERMAN ATTACK. This is a typical rear-guard trench, characteristic of the field fortifications of the great retreat. La trincea era rinforzata con tavole di legno o graticci, il pavimento in certi casi era isolato con altre assi in maniera da consentire il deflusso dell’acqua e dei liquami; all’incirca ogni soldato aveva a disposizione circa un metro quadrato. La trincea era la casa del militare il suo letto, la sua mensa, il cesso e la tomba. La manutenzione però non era facile, e con il tempo diventava alle volte impossibile. Il legno marciva, c’era umidità, il terreno era fangoso, e i soldati dovevano rimanere molto tempo fermi per ore o giorni. I militari si lordavano di fango misto a sudore ed escrementi; nonostante fossero in montagna di acqua ne avevano poca (pensate ad esempio all’altopiano di Asiago il quale ha caratteristiche carsiche e dove l’acqua non si trova facilmente). La difficoltà di bere e lavarsi, l’enorme stress psicofisico, la malnutrizione, la carenza di sonno e le precarie situazioni igieniche, favorivano il dilagare di molte malattie e la diffusione di topi e pidocchi. In questi buchi infernali, quando si scatenava il maltempo, gli escrementi si mescolavano con i liquidi dei cadaveri e con il materiale di scarto dell’esercito, i topi che si nutrivano di carne umana putrefatta nuotavano nella melma e il soldato non poteva uscire dalla trincea pena il rischio di rimanere ucciso dall’esercito nemico. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Appendini, bomboniere, giocattoli, vestiti, vestiti e ancora vestiti, libri riviste, cassette vhs, palette, chincaglieria, ricordi, creme, articoli da bagno, ecc. ecc. , quanta roba è presente nelle nostre case, ed è veramente tutta necessaria? Presento in questo post un libro intelligente, con un insegnamento profondo: butta via le cose che non ti servono e riordina le altre, cambierà così anche il tuo modo di sentirti nel mondo e affrontare la vita. Il testo di riferimento è il seguente: Marie Kondo, Il magico potere del riordino, Vallardi 2014. Viviamo in una società consumista dove possiamo acquistare tantissime cose di svariate forme, colore e grandezze, ecc., ma così facendo ci riempiamo la casa sempre più di oggetti. Sono così tanti che non sappiamo dove metterli, sono così tanti che ci soffocano, sono così tanti che potrebbero essere utili ma il tempo ci manca per usarli. Sono oggetti da ordinare, pulire, riparare e se necessario sostituire. Fino a quando non avremmo un robot che ci fa da domestico tutte queste operazioni le dobbiamo fare noi, pena il disordine. Ci viene in aiuto per questo problema il libro molto scorrevole di Marie kondo, davvero una lettura consigliatissima. Ed ecco il primo principio e il più importante del suo libro, esso consiste nello sviluppare la capacità di buttare via le cose. Proprio così, a nostro malincuore, stiamo diventando degli accumulatori e ci circondiamo di roba senza valore. Avanzando nella lettura scopri che ha assolutamente ragione, abbiamo troppe cose inutili che conserviamo e ci ostacolano. Perché ci teniamo tutte questi oggetti? Siamo proprio sicuri che ci potrebbero tornare utili? Se non le abbiamo usate fino ad ora perché dovremmo usarle un domani? Seguire una logica dell’utilità o circondarsi di cose che ci piacciono e ci danno una sensazione estetica di bellezza? Le risposte si potranno trovare nella lettura di questo libro. Emergerà anche una inaspettata verità: facendo pulizia esteriore (gettando via), influenzeremo i nostri stati d’animo e ci sentiremo sollevati, perché il distacco dalle cose implica anche un distacco dai momenti di vita precedenti, il lasciarli andare e il prepararsi con energia alle nuove situazioni dell’esistenza. Sembra una “giapponesata” (sicuramente suscita stupore la vita dell’autrice che si è specializzata vive ed è diventata famosa facendo corsi, e vendendo tantissimi libri su questo argomento), invece devo constatare che la lettura si rivela illuminante e il lettore viene preso dalla voglia di “sistemare e ordinare” immediatamente. L’autrice passa in rassegna le varie categorie di oggetti e nel descrivere i pensieri sottostanti ti senti coinvolto pienamente, quasi che l’autrice conosca casa tua. Molte testimonianze riferiscono dopo il riordino (buttare via) un senso di liberazione. Il riordino fisico, secondo l’autrice, insegna ad andare all’essenziale delle cose evitando acquisti inutili, fa cambiare il modo di concepire la propria esistenza, e porta a un profondo cambiamento interiore. Se ci pensiamo bene sono davvero poche le cose di cui abbiamo bisogno! Ecco ora qualche altro principio del suo metodo di riordino:
Se in un precedente post (http://www.insegnaredivertendosi.com/blog/gli-accumulatori-compulsivi) era stata posta attenzione al problema degli accumulatori seriali, con la presentazione di questo libro si può intravvedere una possibile soluzione, sempre che la persona sia ancora capace di dominio e libera scelta. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY CHI È A CONOSCENZA CHE NEL PERIODO TRA IL 1998 E IL 2007 SAREBBERO MORTE IN CONGO 5.400.000 PERSONE?Il testo di riferimento di questo post è il seguente: Luca Jourdan,Generazione Kalashnikov. Un antropologo dentro la guerra in Congo, Laterza 2010.
Secondo l’International Rescue Committee (https://www.rescue.org/), nel periodo 1998-2007 sarebbero morte a causa della guerra civile circa 5.400.000 persone in Congo. Le stesse cose sono sostanzialmente ribadite anche in questo articolo: http://nena-news.it/rep-dem-congo-la-guerra-dello-stupro-e-del-coltan/ In questi giorni in Europa assistiamo a un continuo flusso migratorio di persone provenienti dall’Africa e dalle zone di guerra Medio-orientali. Noi europei fatichiamo a capire il perché di questo fenomeno. Purtroppo il mondo è pieno di violenze e la nostra Europa, per quanto criticata dai suoi cittadini, con le sue politiche di welfare, il suo sviluppo e la sua organizzazione sociale risulta agli occhi di molta gente come una sorta di paradiso terrestre. Molteplici sono i motivi alla base di questa situazione. Le stesse politiche di cooperazione molte volte sono state un fallimento e certe logiche colonialiste anche se i paesi sono diventati indipendenti, continuano a imperversare. Esse sono soprattutto legate a interessi di tipo economico. Comunque sia, gli esiti delle situazioni geopolitiche si manifestano in maniera spietata, creando masse di gente vittime e incolpevoli. Un esempio di quanto detto è la guerra civile avvenuta in Congo. Il numero di morti ammazzati di cui si cita nel libro di Luca Jourdan, è una cifra da capogiro. Ebbene in questi anni i nostri telegiornali non ne hanno parlato, come mai, perché? Uccidere 5 milioni di persone non è una cosa così facile, molti saranno morti indirettamente, però il numero resta spaventosamente alto. Pensate ai nazisti che, per uccidere nei loro campi di sterminio milioni di persone hanno dovuto impiegare mezzi e risorse. Pensate alle sole fosse Ardeatine, dove si impiegò un giorno intero per compiere l’eccidio. L’uccisione di un numero così grande di persone è una realtà impressionante di cui noi in occidente praticamente siamo rimasti all’oscuro. Scandaloso! Ricordiamo il genocidio degli Armeni all’inizio del ’900, lo sterminio degli ebrei, le foibe, le Torri gemelle, giusto! E questa gente chi li ricorda, come numero sono equivalenti a 1800 Twin Towers? Ci sono drammi che in qualche modo la gente tende a non considerare, ma il sangue degli innocenti dimenticati è ugualmente rosso a quello degli altri. Per inciso, tra le tante stragi, forse molti non sanno che il Congo agli inizi del ‘900 è stato oggetto di una ferocia coloniale inaudita, e si parla di uno sterminio di persone compreso tra i tre e i dieci milioni di persone sotto la dominazione di Leopoldo II re del Belgio (https://it.wikipedia.org/wiki/Leopoldo_II_del_Belgio). In questa situazione di immigrazione forzata risultiamo sia noi che loro vittime di una insensata emergenza. Probabilmente tutti siamo sostanzialmente d’accordo nell’affermare che le persone stanno bene a casa loro, e solo per situazioni di causa maggiore sono costrette ad emigrare. Purtroppo le realtà nei loro paesi sono diventate insostenibili. Una cosa ci lascia sbalorditi, quando si tratta di fare guerra le risorse si trovano sempre e in fretta ma quando c’è da provvedere alla sussistenza della povera gente sfollata, allora si chiede l’obolo e si fanno le campagne per gli aiuti umanitari. Per esempio nella guerra libica per scalzare Gheddafi, in due giorni dalla dichiarazione Onu, Sarkozy e Blair sono stati in grado di attaccare. Ora, per fare una guerra bisogna sapere che occorrono mezzi risorse, uomini, obiettivi militari. Non si improvvisa in due giorni! Però questo è quello che è avvenuto (o almeno, quello che ci hanno raccontato). Nessuno dico nessuno ha fatto una colletta dicendo “vi prego aiutateci non abbiamo i soldi per comprare le bombe”"aiutateci a bombardare, siamo a corto di munizioni!". Per uccidere i soldi ci sono ma per le emergenze umanitarie non ce ne sono, come mai? Ed ora alcune spunti di riflessione derivanti dal libro (per una breve sintesi si veda il seguente LINK):
Spero di aver destato la vostra attenzione su questo importante libro. Un video di Silvestro Montanaro descrive una realtà simile successa in Sierra Leone e lo si può vedere al seguente LINK. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY
Ecco alcuni libri di saggistica, particolarmente interessanti, che possono essere con voi sotto l’ombrellone.
Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Testo di riferimento: F. Randy S. Gail, Tengo tutto. Perché non si riesce a buttar via niente, Erickson 2012.
Sicuramente il lettore avrà già sentito parlare della mania smodata di accumulare le più svariate cose da parte di alcune persone (oggetti di tutti i generi, collezioni varie, animali, …). Diverse trasmissioni televisive si sono occupate di questa cosa. Il nome tecnico per definire questo comportamento è disposofobia. Viviamo la nostra vita in una situazione di bisogno, e ciò inevitabilmente porta l’uomo a sentire che può succedere uno stato di scarsità di risorse. Quante carestie e stati di povertà hanno passato i nostri antenati, e sicuramente ci portiamo addosso le ancestrali paure che hanno attanagliato i nostri avi. Secondo diverse teorie psicologiche le prime due fasi dello sviluppo della persona umana, sono quella orale -sensoriale e quella anale-muscolare. Secondo questi autori all’inizio la principale forma di stimolo è intorno alla zona della bocca, e successivamente l’attenzione viene portata al controllo degli sfinteri. Nei primi momenti della nostra vita la fonte principale di attivazione è intorno al mangiare, all’introdurre, all’ingoiare all’assimilare e poi successivamente l’attenzione si focalizza sul momento dell’espellere, dell’eliminare. L’individuo è un equilibrio fra questi due fattori assimilare ed espellere, mangiare ed evacuare, assumere e mollare. Secondo gli psicologi nei momenti dell’infanzia si consolidano le caratteristiche principali della personalità. L’individuo è un equilibrio fra questi due fattori e il mancato rapporto armonico, sembra essere causa di comportamenti spropositati o in un ambito o nell’altro. Nel primo caso abbiamo come conseguenza i disturbi alimentari, mentre nel secondo abbiamo tutti i comportamenti di accumulo, compresa l’avarizia. Le giustificazioni portate a sostegno del loro comportamento stravagante, sono frasi che alle volte abbiamo sentito dire anche in casa nostra: “non si butta via niente”, “mi potrebbe servire”, “vivete nel tempo della bambagia e non sapete cos’è la carestia”, “questo è un ricordo che fa parte di me”, “tu non hai la minima idea”, “ma è mio!”, ecc. Molte volte nell’affrontare i comportamenti compulsivi, le persone comuni sono portate a giudicarli in maniera semplice, definendoli frutto di disturbi mentali o di mancanza di volontà. Non è ancora entrata dentro alla mentalità comune il ruolo e l’importanza di quella parte di noi nota con il nome di inconscio. Fino a quando non diventeremo consapevoli di questa nostra dimensione, difficilmente capiremo che quando l’inconscio prende il sopravvento diventa un divoratore scatenato della persona. Una volta queste pulsioni smodate erano classificate come vizi capitali. Tutti noi sappiamo che cosa si intendeva con queste parole. Ebbene il loro significato e la loro validità non è venuta meno. Particolarmente impressionanti sono le parti del libro in cui si racconta che da una casa furono portati fuori ben 1800 quintali di rifiuti e oggetti vari. Poi il caso di una attrice che fu trascinata nella follia da accumulo da animali, spendendo tutti suoi soldi in alimenti per loro, tanto da ridursi in povertà. Per ultimo, il caso di accumulo di "elementi" provenienti dal proprio corpo, di cui al lettore risparmio la descrizione, perché troppo disgustosa. Invito ora il lettore a considerare come la pulsione ad accumulare sia così pressante e impellente in tanti ambiti da far perdere la qualità della vita. Pensate a certi personaggi storici, i quali raggiunsero risultati importanti ma non si seppero fermare. Napoleone, aveva conquistato quasi tutta l’Europa, poteva vivere il resto della sua vita nel modo migliore, non gli bastava, si è infilato nella campagna di Russia ed ha perso tutto. Gengis Kan conquistò un territorio immenso, poteva vivere da gran signore per il resto dei suoi anni, morì invece a cavallo ancora in cerca di nuove battaglie. La storia è piena di esempi simili in tutti gli ambiti. Gente che non si ferma mai, potrebbe vivere il resto dei loro anni godendosi e assaporando le delizie della vita, non basta. Mettono a prova fisico, salute, mente, affetti, famiglia, ….. e tanto altro. Che senso ha tutto questo? C'è da rimanere esterrefatti dal cattivo modo di vivere degli uomini, senza distinzioni di epoche, in cui la vita diventa una assurda ricerca nell’avere sempre di più, ma ricordiamoci che nessuno si porta via niente da questo mondo! Alcuni video sull’argomento: http://video.gazzetta.it/10lifestyle-disposofobia-accumulo/2da486a0-17a2-11e2-901e-b96e1979e6f0 http://it.dplay.com/sepolti-in-casa/stagione-5-visite/ https://www.youtube.com/watch?v=I-TVKo_cnKA Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Il testo di riferimento di questo post è il seguente:
Andrea Baranes, Finanza per indignati, Ponte alle Grazie 2012. Nell’ultimo post ci siamo lasciati con una domanda, “che fine ha fatto lo spread?” Nel 2011 Il governo Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni a causa del suo innalzamento. Ebbene a distanza di tempo il debito dell’Italia è aumentato e il PIL stenta ancora a partire, quindi la situazione del debito pubblico non è migliorata, anzi è peggiorata ma lo spread per adesso non è più un problema. C’erano diversi miliardi di debito ed ora sono aumentati, e a causa della crisi molte aziende hanno chiuso i battenti e non hanno più riaperto. Come mai dello spread non si sente più parlare? Come mai i mercati prezzano ora come più sicura la situazione dell’Italia? Nel frattempo è avvenuta la riforma delle pensioni Fornero e una riforma dei contratti nel mondo del lavoro. Chi le ha volute? Erano fondamentali? Lascio al lettore la risposta. Per approfondire : Paolo Ferrero, La truffa del debito pubblico, DeriveApprodi 2014. Ed ora vi presento, in ordine casuale, alcuni punti particolarmente significativi di questo libro che meritano di essere conosciuti:
Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Author: Günter Erlebach Il testo di riferimento di questo post è il seguente: Andrea Baranes, Finanza per indignati, Ponte alle Grazie 2012. Abbiamo un debito pubblico di circa 1900 miliardi, se il mercato prezza un tasso del 4% si devono pagare 76 miliardi di interessi. Per ogni punto del tasso corrispondono 19 miliardi di euro. Secondo il libro datato 2012, la BCE ha dato attraverso il piano chiamato “quantitative easing” circa 4000 miliardi alle banche per aiutarle nella ricapitalizzazione, e incentivare la ripresa economica evitando la continuazione della stretta del credito (credit crunch). Tale aiuto è ancora in atto. Se il lettore non ci crede apra i seguenti link, oppure faccia una semplice ricerca in internet : http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/07/il-megasostegno-dellue-alle-banche-4500-miliardi-di-aiuti-di-stato-in-3-anni/256429/ http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/19/draghi-se-la-bce-da-soldi-alle-banche-perche-non-finanzia-un-piano-per-loccupazione/2561464/ http://espresso.repubblica.it/affari/2016/03/10/news/la-bce-rafforza-le-misure-di-sostegno-all-economia-e-porta-il-qe-a-80-miliardi-al-mese-1.253643 Con questi soldi le banche comprano i debiti pubblici dei vari paesi secondo i tassi di interesse di mercato. Quindi nei casi dei paesi periferici (Grecia, Spagna , Portogallo, Italia, ecc) le banche con i soldi della Bce comprano il loro debito e ci guadagnano. In cambio come garanzia alla Bce mettono in pegno gli stessi titoli di debito degli stati. Ma, ma, ma che senso ha? La BCE può aiutare le banche ma per statuto “non può compiere operazioni simili e comprare titoli di Stato dei Paesi membri”. Un problema che rimanda nuovamente alle lacune del modello europeo costruito su basi neomercantili e neoliberiste. L’idea sottostante è quella che gli stati virtuosi vengono premiati dal mercato e gli altri che non lo sono vengono sollecitati ad esserlo. Sembrerebbe una cosa giusta, spendi troppo, sei una cicala, ne paghi le conseguenze, ma in realtà è un modello altamente ingiusto che favorisce chi ha già e strangola gli stati in difficoltà. È come la storia del paese dei balocchi nella favola di Pinocchio: vieni, vieni con noi che ci divertiremo, e all’indomani si ritrovano ad essere dei somari pronti per essere sfruttati. Carlo Chiostri [Public domain], via Wikimedia Commons
Pinocchio nel paese dei balocchi. Il Portogallo, la Grecia, che nel corso degli anni sono stati indotti per politiche cretine ad indebitarsi, ora nel momento della congiuntura non solo vengono aiutati ma sono sottoposti a ulteriore sforzo con piani di austerità e tagli alla spesa pubblica. Riassumendo la BCE (entità degli stati europei) crea dal nulla denaro che presta all’ 1% alle banche europee, le quali comprano il debito degli stati europei secondo il valore di mercato e cioè al 2, 4, 6, 8%, e a garanzia del debito contratto danno in pegno lo stesso debito acquisito. Stupendo! E il sostegno alle aziende, all’economia, al lavoro? Niente! Sembra che la risposta sia: è una cosa che devono fare le banche. Sono loro le preposte all’erogazione del credito, sono loro che valutano e si assumono i rischi derivanti dall’erogazione dei prestiti. Ma se hanno dimostrato di essere incapaci e sono sull’orlo del fallimento? Beh, vediamo, insomma, mah ….. La quantità del debito non dipende dal suo valore nominale ma dalla solvibilità del debitore. Se sono un imprenditore e contraggo un debito elevato che però riesco ad estinguere in fretta per le capacità produttive della mia azienda, sono migliore di colui che ha un piccolo debito ma con scarse capacità di guadagno. Non deve far paura il debito ma l’incapacità di pagarlo. Il credit crunch alle aziende è stato ed è un grandissimo veleno perché va ad intaccare il sistema produttivo alimentando una spirale depressiva e, deprimendo il mercato interno. Il credit crunch ha minato cioè la capacità di solvibilità. In parole povere, se tu fai chiudere le aziende chi ti paga le tasse? Purtroppo politiche lungimiranti di questo genere non ne abbiamo viste, e di politici che abbiano chiarezza di idee su questi argomenti ce ne sono pochi. Nel frattempo le banche come in un gigantesco casinò rincorrono quella che può sembrare l’affare di una vita e alimentano ancora nuove bolle, nuove perdite e nuove crisi. Mi sembrano tutti matti! E lo spread, che fine ha fatto lo spread che ci ha torturato tanto? È aumentato il debito, è diminuita la capacità produttiva e tutto va bene? La risposta al prossimo post. "Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione". Alcide De Gasperi. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Il testo di riferimento di questo post è il seguente: Andrea Baranes, Finanza per indignati, Ponte alle Grazie 2012. Tutti sanno che a causa della crisi generata dai mutui sub-prime il mondo è caduto in una crisi economica globale. In particolare il fallimento della banca Lehman Brothers ha causato un violento scossone alle attività finanziarie, e di conseguenza all’economia reale. L’origine è stata una allocazione insensata delle risorse nel settore immobiliare, che ha causato un’eccessiva speculazione non legata alle reali esigenze abitative. È quello che viene chiamata una bolla finanziaria, cioè una ipervalutazione di un determinato bene o settore, favorito dalla speculazione e dall’entusiasmo generale che fa credere nel buon affare della vita. Di queste ipervalutazioni inconsistenti la finanza ne ha generato molte, a partire dalla famosissima bolla dei tulipani del 1600. Il mercato un giorno prezza una cosa e un altro senza un vero motivo ne aumenta o diminuisce il valore. Prendete qualche grafico di borsa e vedrete la continua oscillazione dei prezzi anche nel breve giro di un’ora. Perché dico queste parole? Perché c’è un’idea di fondo che da tempo è presente, quella che il mercato si autoregola ed è di gran lunga migliore nella allocazione delle risorse rispetto al settore pubblico. Questi per tutta una serie di motivi, sarebbe meno attento e perspicace rispetto al mondo privato, e sarebbe la causa di un rallentamento dello sviluppo economico. Lasciamo fare ai privati, essi sono molto più svegli ed avveduti e se per caso sbagliano sono fatti loro. Ebbene questa idea (liberismo della scuola di Chicago) si è dimostrata falsa, perniciosa e, purtroppo, continua ad esserlo. Quando la Lehman Brothers è caduta si è visto che il mondo finanziario era un’enorme castello di carte a cui se non si metteva subito un sostegno, si sarebbe causato un disastro globale e una crisi ancora più spaventosa. Il settore pubblico quindi è dovuto intervenire con enormi piani di liquidità (il famoso quantitative easing), per sostenere i mercati finanziari e con essi l’economia reale. Ma come? Il tanto vituperato settore pubblico ha dovuto tappare le falle provocate dal liberismo selvaggio, ma non doveva arrangiarsi da solo? Se avete fatto caso in questi decenni c’è stato un ritornello continuo: “lo stato ha troppi debiti, deve vendere i suoi patrimoni e risanare i conti pubblici”. Così si sono vendute e privatizzate autostrade imprese e beni pubblici di tutti i generi. Questo è avvenuto in Italia ma anche in altre parti del mondo. The blind leading the blind. Oil painting after Pieter Brueg
See page for author [CC BY 4.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/4.0)], via Wikimedia Commons Però siccome ora, le cose stanno andando male al settore privato (banche in particolare), adesso si invoca l’aiuto del settore pubblico, un controsenso! Se applicassimo lo stesso principio i privati dovrebbero invece vendere (o svendere) al pubblico, e in questo caso l’azione si chiama “nazionalizzazione”. Il punto comunque non sta tanto sui diritti di proprietà, ma nel fatto che il settore in questione (quello finanziario) è malato fino all’inverosimile. Mi spiego meglio: gli aiuti che sono stati dati alle banche in questi anni attraverso le varie forme di “allentamento finanziario”, non hanno promosso l’economia reale e la ripresa come si voleva, perché “rende” di più continuare a speculare con la conseguenza di generare nuove bolle. O meglio, il sistema avendo ancora le stesse regole, si muove alla stessa maniera e favorisce un’allocazione inadeguata delle risorse. Adesso per esempio visto il calo del prezzo del petrolio e i mutamenti geopolitici, sembrano in crisi molte industrie petrolifere che hanno investito nella tecnica estrattiva dello Shale (o Fracking) e con loro i finanziatori (banche). L’italia a causa della crisi ha perso il 25% della produzione industriale. Non è avvenuta solo una diminuzione della domanda ma anche un fenomeno noto come credit crunch (link video), cioè una stretta del credito. Le banche entrate in crisi a seguito della situazione generata dai mutui sub prime, avendo a disposizione meno soldi hanno stretto il credito. Una situazione insensata e assurda, è come se a una vacca che comincia a produrre meno latte tu diminuisca il foraggio. Ecco , la stessa identica cosa è avvenuta in Europa. Si sono lasciate fallire aziende sane che presentavano un rischio esiguo, semplicemente perché tutto era diventato improvvisamente pericoloso. Ricordiamoci però, che quando un’azienda chiude se ne va con lei tutto il Know-how, (il bagaglio di conoscenze) che difficilmente si riesce poi a far ripartire. Chi ha difeso queste strutture produttive? Nessuno! Si poteva fare? Certo! La risposta la darò nel prossimo post. In questo tempo l’impressione, quella più buona possibile, è quella di essere guidati da ciechi che guidano altri ciechi. Mentre quella cattiva è che la situazione di povertà, disoccupazione e conflitti sociali sia volutamente perseguita. Saluti Giuliano Mazzocco COOKIE POLICY PRIVACY POLICY Paola Liberace, Contro gli asili nido. Politiche di conciliazione e libertà di educazione, Rubbettino 2009. |
| Sono rimasto estremamente colpito dalla lettura del libro “le guarigioni del cervello” di Norman Doidge e dalle sue implicazioni anche dal punto di vista scolastico. Noi insegnanti, sempre di più, ci troviamo con un numero inaspettato di studenti dislessici, autistici e, con disturbi da ADHD. |
Lungi da me il volere alimentare false illusioni, i fatti, le scoperte e le teorie presentate nel libro sono davvero interessanti, e se vere da far gridare al miracolo. Le malattie al cervello sfigurano le persone, sono un oltraggio indecoroso alla loro dignità, e sono fonte di dolore per i loro famigliari. Nella speranza di aiutare a indagare, scrivo questi post, piccoli riassunti invitanti alla lettura di questo interessante libro.
Il testo parte da una tesi di fondo consistente nell’affermare la plasticità del cervello, ossia la capacità di colmare i vuoti e sviluppare funzioni alternative. Il cervello ha capacità riparatrici e se aiutato nel suo processo di guarigione riesce ad aggiustare i danni subiti. Esso lo fa attraverso due canali (naturali e non invasivi) principali che sono l’esercizio fisico e mentale e il ricorso all’energia, sotto forma di luci (laser a bassa intensità), suoni (metodo TOMATIS) e vibrazioni (PONS).
L’autore è uno psichiatra e psicanalista e le sue tesi sono supportate in maniera scientifica da fonti attendibili, citazioni e casi clinici comprovati. Spero tanto che le sue affermazioni siano vere e credo che, se sarà così, in breve tempo tante persone avranno nuove risorse di guarigione e potranno sentirsi meglio.
Negli anni ’80 c’erano due teorie circa il funzionamento del cervello. Una sosteneva la divisione in zone alle quali spettava uno specifico compito, e un’altra prevedeva una certa elasticità tale da rendere impossibile una individuazione chiara e specifica delle zone responsabili delle varie funzioni. L’autore sostiene che il cervello ha una capacità “plastica” di adattarsi e supplire le parti deteriorate. Come le persone hanno la facoltà di apprendere nuove nozioni così il cervello ha la capacità di sviluppare nuove risorse per assolvere le esigenze dell’individuo.
Per diverso tempo il pensiero più comune della medicina occidentale è stato quello di ricorrere a sostanze chimiche come rimedio neurologico. Si sono cercate e si cercano i “proiettili magici”, capaci di annichilire le malattie, ma secondo l’autore non è l’unica strada. Attualmente il corpo del paziente è il campo di battaglia tra la malattia e il medico, occorre invece possa essere un alleato. Il paziente da soggetto passivo deve diventare soggetto attivo, pronto a sperimentare se stesso in nuovi percorsi di guarigione.
Ecco il primo tema suggerito da Norman Doidge.
LAVORARE CON L’IMMAGINAZIONE E LA VISUALIZZAZIONE PER RIDURRE IL DOLORE CRONICO.
Un certo dottor Moskovitz si accorse per esperienza diretta della facoltà del cervello di spegnere il dolore in alcuni casi. Sviluppando le ricerche scoprì che le persone, hanno delle mappe cerebrali del loro corpo. Quando con l’immaginazione modifichiamo queste mappe del corpo, riducendo le parti che sentiamo essere fonti di dolore, lentamente diamo nuovi input al cervello e, ciò fa spegnere il dolore cronico. Per dirla in altre parole, il dolore alle volte si autoalimenta, e ci tiene incastrati, per paura di soffrire aumentiamo la nostra sensibilità, ma lavorando con la visualizzazione è possibile spegnere l’incendio.
| C’è un noto fenomeno chiamato “l’arto fantasma” (link) dove persone, che hanno subito un’amputazione continuano a sentire fastidiosi, e a volte intensi dolori nella parte che non c’è più. Lo stesso Dick Swaab nel libro citato (link), riferisce di una persona lamentante dolori a una gamba “fantasma”. |
Le mie poche parole di spiegazione non rendono merito al discorso logico del libro, però forse questa è la parte meno convincente. Credo che tanti di noi conoscono persone che le hanno “tentate tutte” e faccio fatica a pensare, che questa possa essere una strada. Io stesso sono stato affetto da un’ernia al disco che mi ha immobilizzato per molto tempo, e ho patito tantissimo. Per tre mesi passavo la notte senza dormire in piedi riverso con la pancia su un tavolo, mi ricordo che contavo i secondi e mi incoraggiavo dicendo, “su dai 15 secondi sono passati”. Il tempo però ha spento i dolori e lentamente sono tornato alla normalità. Questa esperienza mi ha insegnato a conoscere maggiormente me stesso e ciò che lo può mandare in crisi. Sinceramente non me la sentirei di consigliare a una persona con dolori cronici questa terapia, anche se riconosco i ragionamenti sensati e comprovati dell’autore.
La morale è questa: bisogna imparare a controllare consciamente il dolore fino a quando inconsciamente il cervello non lo fa da solo.
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Giuliano Mazzocco
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